mercoledì 6 giugno 2012

L'esperienza della graphic novel





L'esperienza di sceneggiare, disegnare una graphic novel, 
è una cosa che consiglierei. 
Stare con la concentrazione su un libro tre anni, genera
alterazioni nella nostra piccola vita.
Accade una cosa strana, la storia che stai facendo ti risucchia, 
ti ci immergi dentro, e diventa un filtro per guardare il mondo.

Diventa anche tirannizzante. 
Durante la realizzazione di Goodbye Bukowski, ad un certo
punto non c'erano più sabati sera con gli amici.  Non c'era vita sociale. 
C'era solo Charles e la sua voce, la sua presenza.
Il libro mi ha portato a chiudermi in casa, contento come una pasqua.

Questa cosa della voce, della presenza di Charles, non vedetela come il 
delirio di uno psicotico. Anzi, vedetelo così. Va bene. Voglio dire che porre
l' attenzione per tre anni su una storia,
se fatto onestamente, è davvero un' esperienza di contatto "umano", 
tra te e i personaggi che disegni.
Ad un certo punto i personaggi ragionano per conto loro.  
Si mostrano nella loro essenza e tu devi solo assecondarli. 
Lo avevo più o meno sentito dire da altri 
disegnatori, ma non ci credevo. 

Mi è successa anche un' altra cosa,
di provare empatia per le emozioni dei personaggi. 
Capita di sentirsi molto vicini a queste "persone di carta". 
Ah, poi ovviamente, non sono rimasto chiuso in casa per sempre, 
poi sono anche uscito. Credo.

Probabilmente qualcuno potrebbe pensare : e va beh, ma non c'è 
una via di mezzo?
Non puoi fare la tua benedetta graphic novel e vivere una vita normale?
Certo che è possibile. Ma a me non è capitato con questo libro. 
Vediamo con il prossimo che cosa succede.




Qui sopra:
Charlie a 20 anni, nel 1940

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